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I limiti del management machista: dalle soft skills ai principi femminili

I limiti del management machista: dalle soft skills ai principi femminili

Diversità e inclusione, diritti delle minoranze, da qualche anno a questa parte sono entrati a far parte del dibattito quotidiano del mondo del business. La sensibilità verso questi temi è talmente alta che anche i politici più reazionari sono stati costretti ad occuparsene, lanciando campagne a favore o contro integrazioni e uguaglianze. A prescindere dai movimenti ufficiali che riempiono le pagine dei giornali, la realtà delle nostre società - quindi delle nostre aziende - è profondamente cambiata in questi anni. A modelli organizzativi legati a una visione “maschio centrica” che si ispira alla retorica del comando e controllo, i mercati preferiscono adesso approcci più morbidi, umani, che mettano al centro la persona nella sua interezza, compresa la sfera emotiva. Parliamo di questa rinnovata sensibilità del business verso certe istanze con Silvia Zanella, autrice di libri molto significativi sull’argomento ed esperta di risorse umane.

Silvia, ci puoi dire chi sei e in cosa consiste il tuo lavoro?

«Ho una lunga esperienza nel mondo delle risorse umane e della comunicazione. Il mio lavoro si concentra sull’innovazione, sull’inclusione e sullo sviluppo di ambienti di lavoro più umani e sostenibili, che valorizzo poi in termini di programmi di employee experience e di employer branding. Collaboro con team multidisciplinari per promuovere una cultura aziendale che sviluppi le persone nella loro interezza, integrando competenze tecniche e soft skills. Scrivo e parlo spesso di futuro del lavoro, con l’obiettivo di ispirare un cambiamento positivo e concreto nelle organizzazioni. Il mio ultimo libro, pubblicato per Bompiani, si chiama “Basta lavorare così”, mentre per FrancoAngeli dirigo la collana “Voci del lavoro nuovo”.».

Tra i numerosi testi che hai scritto ce n’è uno dal titolo emblematico “Il futuro del lavoro è femmina”. Ci puoi spiegare meglio perché?

«Il titolo nasce dalla convinzione che le competenze e i valori tradizionalmente (e anche stereotipicamente) associati al femminile – vedi empatia, ascolto, collaborazione, cura – siano oggi fondamentali per affrontare le sfide del mondo del lavoro. Non si tratta di una questione di genere, ma di un cambio di paradigma: da un modello competitivo e gerarchico a uno più inclusivo e cooperativo. “Il futuro del lavoro è femmina”, che ho pubblicato nel 2020 per Bompiani, è un invito a ripensare le organizzazioni mettendo al centro la persona, la relazione e il benessere collettivo, a vantaggio di tutti.».

Cosa sono i principi femminili di cui tanto si parla e come è possibile svilupparli in azienda?

«I principi femminili non sono legati al genere, ma a un modo di essere e di agire che privilegia la connessione, la sensibilità, la cura e la visione sistemica. In azienda si possono sviluppare creando spazi sicuri per l’ascolto, promuovendo la leadership diffusa e valorizzando la diversità come leva strategica. Serve anche un cambiamento culturale che riconosca il valore delle emozioni e delle relazioni, superando l’idea che l’efficienza e il controllo siano gli unici strumenti di gestione efficaci.».

Quando si parla di diversità e inclusione si pensa subito alle esigenze delle minoranze. Ma di cosa, a tuo avviso, avrà bisogno la cultura cisgender per affrontare i cambiamenti dei prossimi anni?

«Credo che ciascuno, a livelli diversi, dovrà imparare a mettersi in discussione, ad ascoltare senza difendersi e a riconoscere i propri privilegi. Non si tratta di perdere qualcosa, ma di guadagnare in consapevolezza e in capacità di relazione. Sarà fondamentale sviluppare empatia, accettare la complessità e abbandonare l’illusione dell’universalità del proprio punto di vista. Solo così potremo costruire ambienti di lavoro davvero inclusivi, dove ogni persona possa sentirsi vista, rispettata e valorizzata.».

L’elezione di Trump sembra aver dato un alt alla cultura WOKE: che impatto avrà nel nostro paese questa inversione di tendenza?

«Credo che nelle aziende più attente e internazionali ci sia ormai una consapevolezza radicata sull’importanza della diversità, anche perché se ne riconoscono gli indubbi vantaggi. Il rischio in generale è che si torni a trattare questi temi come “moda” e non come leva strategica. Sta a noi continuare a presidiare il cambiamento senza arretrare.».

Cosa consiglieresti a chi lavora nelle Risorse Umane per integrare questi temi?

«Consiglio di partire dall’ascolto attivo delle persone e dall’analisi dei dati per capire dove intervenire. È importante formarsi su bias, linguaggio inclusivo, leadership empatica e benessere organizzativo. Le HR possono essere agenti di cambiamento se riescono a coniugare strategia e umanità, KPI e cultura. Serve anche il coraggio di mettere in discussione pratiche consolidate e di sperimentare nuovi modelli, più flessibili, partecipativi e orientati alla costruzione di un senso condiviso.».

Ringraziamo Silvia Zanella per il suo tempo e invitiamo, chi volesse approfondire l’argomento o conoscere meglio il lavoro dell’autrice, a consultare il suo sito silviazanella.com dove oltretutto è possibile trovare la lista dei numerosi libri che ha scritto.